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Nel secondo caso, la salute rimarrebbe comunque il vero obiettivo del trattamento psicoanalitico, solo che cercare di conseguirla direttamente risulterebbe controproducente, o perfino autodistruttivo; dovremmo badare ad altro, contando sul fatto che la salute emerga come effetto collaterale. Ma, se così fosse, non dovremmo allora rovesciare conseguentemente il motto di sopra: «Occupati della realtà patologica, e il Reale si prenderà cura di sé», «Sii modesto, cerca di aiutare il paziente alleviandone le sofferenze, e la Verità emergerà da sé»?

Il caso paradigmatico dell’Intelletto «astratto» non è quindi l’analisi miope di oggetti e processi considerati separatamente dal complesso e dinamico Intero a cui appartengono (perfino Stalin dimostra di esserne consapevole quando propone infinite variazioni sul tema «ogni cosa è connessa a ogni altra»), ma è piuttosto la cecità verso il ruolo strutturale e produttivo dei sintomi, degli eccessi, degli ostacoli. Per esempio, al livello dell’Intelletto, le crisi appaiono come ciò che turba il regolare funzionamento del capitalismo, ostacoli che possono e devono essere rimossi mediante l’adozione di politiche economiche razionali.

Un prete corrotto che predica la bontà è senz’altro un individuo ipocrita, ma se la gente conferisce alle sue parole l’autorità della Chiesa, potrà trarre ispirazione dalle stesse per commettere buone azioni. A questo punto occorre registrare un certo paradosso: è proprio quando «io parlo», quando ho percezione di me come agente del discorso, che, in effetti, «il grande Altro parla attraverso di me», che io sono «parlato», dal momento che i miei atti linguistici sono interamente regolati dall’ordine simbolico in cui dimoro.